venerdì 12 marzo 2021

LA CRISI DEL NOSTRO PARTITO

 Intervento dell'iscritto, Antonio Di Carlo

Credo sia evidente come le dimissioni del segretario Zingaretti abbiano suscitato una grande varietà di reazioni che vanno dalla acritica difesa alla acritica accusa, in un gioco di simpatie e antipatie che rende tutti noi etichettati in funzione a ciò che esprime.

Antonio Di Carlo

La discussione politica interna attorno alla vicenda, ad ogni livello, è ancora incrostata da grumi di faziosismo personalistico, di correntismo oligarchico, di inutili e retoriche narrazioni interne, piene di pregiudizi e di preconcetti, e da conseguenti lotte personalistiche di scalatori di partito ad ogni costo, distruggendo gli stessi presupposti dell'etica democratica e sostituendoli con un becero tatticismo.

Credo che da questi fenomeni vadano poste delle questioni le quali divengono pregiudiziali per la formulazione di qualsiasi discorso politico attorno alle contingenze e in prospettiva di un futuro. La prima è sicuramente l'impegno costante nella formulazione di principi politici comuni. 

Dobbiamo scegliere quali principi, valori ed interessi ci leghino. D'altronde, è il progetto originario del Partito Democratico che, dati i recenti eventi, ha bisogno di un puntuale rodaggio. 

Dove siamo e dove vogliamo andare? Come ci siamo arrivati? Chi eravamo prima? Chi siamo ora e chi vogliamo essere? Dobbiamo mediare le nostre azioni con i principi politici che ci guidano e con il contesto contingente in cui vengono effettuate. I principi e i valori che si perseguono sono ciò che distinguono un partito da un altro, che ne plasmano l'azione politica, creando una cultura politica condivisa, anima di ogni compagine politica. Il riferimento alla coerenza dei principi può aiutarci, fra le altre cose, a comprendere se chi muove una critica, positiva o negativa, lo fa per principio, relativamente giusto o sbagliato, o per pregiudizio o per interesse, lecito o meno che sia.

La seconda questione è un po' un corollario della prima. Noi, in quanto iscritti ad un partito, non dovremmo rinchiuderci in bolle mediatiche e in comode narrazioni forniteci dai nostri leader o rimarcateci dagli esponenti più criticati. Per sua natura, la narrazione vuol persuadere: è un utile strumento nella lotta squisitamente politica all'interno del politeismo dei valori; tenta di imporre una visione che nel migliore dei casi è frutto di una riflessione valoriale con chiare analisi contestuali, nel peggiore è deformazione della realtà per interessi più o meno condivisibili.

Dopo queste premesse, ritengo che l'affaire Zingaretti possa essere analizzato con un piglio adatto ad una analisi politica di Partito. Le dimissioni, come già detto, sono frutto anche di una crisi strutturale del partito, eminentemente politica. Il consolidamento delle correnti in gruppi di potere, in oligarchie, è sintomatico di un processo di sintesi valoriale che non si è attuato all'interno del partito. Non un pluralismo critico e costruttivo ma fazioso e fin troppo competitivo. Banalmente, i “democratici” non possono essere definiti se non per mezzo delle correnti e dei leader che sposano. 

Oltre al contesto preesistente, le contingenze dopo le dimissioni di Conte hanno mostrato sempre più la finta unità all'interno del partito. La crisi di governo innescata da Italia Viva ci ha trovati a dover difendere un'azione di governo nata da contingenze storiche e politiche ben precise. Nata nonostante le riluttanze dello stesso Zingaretti, spinto dallo stesso gruppo dirigente che è una delle cause sostanziali delle sue dimissioni.

Alleanza che è andata anche oltre, tentando di immaginare convergenze comuni, anche in termini elettorali, con risultati deludenti. Compito di questa alleanza di governo era impedire alla svolta autoritaria dei pieni poteri salviniani di presentarsi nello scenario politico, all'interno delle istituzioni. La camaleonticità del Movimento 5 stelle, figlia della mancanza di una cultura politica di questa compagine, ha permesso di poter creare un'alternativa di governo al populismo salviniano, strappando da esso il 5 stelle. E' stato il governo che ha affrontato una pandemia che sta cambiando il nostro modo di vivere. Teniamo sempre a mente il contesto in cui è stata esercitata l'azione di governo.

Ciò può aiutarci a spiegare in parte come determinate azioni non si siano palesate tempestivamente in un anno e mezzo di governo. Tempo in cui si è, innanzitutto, cambiato verso delle politiche prese dal governo Conte I e, successivamente, contrastata la pandemia. Il richiamo ad uscire dalle bolle cognitive che ci creiamo trova qui il suo significato: sostenere che il PD si sia totalmente piegato alle istanze pentastellate è sbagliato come sostenere che il PD sia stato il perno politico-culturale fondante della compagine governativa. I decreti immigrazione sono stati notevolmente ridimensionati. Il piano per il sud di Provenzano, non varato causa Covid, era frutto di una cultura politica meridionalista e socialista all'interno del nostro partito, i rapporti stabilizzati con l'Europa, la regolarizzazione dei migranti, sono stati possibili grazie al nostro apporto. Abbiamo, invece, ceduto sulle riforme istituzionali e sul taglio dei parlamentari, sulla visione della giustizia, sulle tematiche del lavoro, fra le altre cose.

Al momento della crisi di governo, la linea decisa dalla segreteria è stata “o Conte o morte”, usando termini giornalistici. La relazione del segretario, approvata il 27 gennaio, riportava testualmente, nella parte finale del documento: «Il Partito democratico ha una sola parola ed esprime un nome come possibile guida di un nuovo governo di cambiamento. Quello di Giuseppe Conte.» E continua: «È il momento dell’ambizione, della elaborazione di un grande progetto sostenuto da una forte proposta politica. È il momento più delicato, e il Partito Democratico dimostrerà ancora una volta al popolo italiano di esserne all’altezza». L'odg della Direzione che sposava la linea da tenere è stato approvato all'unanimità, ciò ritengo va precisato e ribadito. 

Il fallimento della linea, data l'indisponibilità a mio avviso pretestuosa di IV a sostenere un Conte-ter, ha causato dei malumori da parte del partito e dei dirigenti. Le accuse di non ascolto e di sbagliata scelta strategica della parte centrista, delle minoranze del partito e da parte degli amministratori sono confluite nella richiesta pressante di un congresso per ridefinire la linea, l'identità del partito e conseguentemente i nuovi vertici. La scelta di costituire un intergruppo parlamentare di confronto ha alimentato ancora di più le polemiche. Le richieste di confronto sono sfociate nella decisione di convocare l'Assemblea nazionale del partito per il 13 e il 14 marzo. Nonostante questa decisione, le critiche alla linea si son fatte sentire. Sotto forma, per esempio, di interviste uscite da parte di autorevoli esponenti del partito, tra cui Nardella, Gori, De Caro e Bonaccini. Successivamente, le dimissioni di Zingaretti sono state annunciate su Facebook e formalizzate con lettera alla Presidente Cuppi.

La prima cosa che salta all'occhio nel resoconto dei fatti è un'evidente incoerenza: sulla base di quale principio dovremmo ragionevolmente ritenere opportuni i modi con cui si è arrivati alle dimissioni di Zingaretti? La linea scelta dal segretario è stata più volte unanimemente condivisa dalla Direzione, di cui fanno parte sia De Caro sia Bonaccini, oltre che da varie eminenti personalità le quali, appena si è sancito il fallimento di questa strategia, hanno subito abbandonato la nave. Perché hanno votato a favore in quel contesto? L'unitarietà di facciata non può essere una scusa, soprattutto se si dissolve nella creazione di un'immagine pubblica di sé che non è coerente con le posizioni assunte all'interno del partito.

L'altra faccia della medaglia è che un segretario non può essere succube di un ideale di unanimità all'interno di un partito plurale, non può arrendersi davanti al minimo cenno di opposizione interna, soprattutto se essa è tendenzialmente pretestuosa, come si è visto, dato il doppiogiochismo tra dentro e fuori il partito. Comprendo, però, che una continua erosione avrebbe maggiormente incentivato la narrazione del capro espiatorio, la retorica delle scelte prese dalla segreteria romana quando invece la scelta è stata evidentemente collegiale e condivisa.

Ciò, naturalmente, non significa “vietato criticare”, piuttosto non creare capri espiatori Le colpe maggiori della crisi politica interna al partito risiedono in chi sostiene e produce queste erosioni, contro ogni etica politica democratica, contro ogni visione costruttiva insita nel progetto del Partito Democratico. Sappiamo come gli organi non permettano la risoluzione di controversie interne ma, di certo, c'è un evidente problema di etica politica e di cultura politica. E' necessario discutere anche sulla mancata efficacia del partito di poter incidere sulle questioni nazionali. Il contesto è ben chiaro: mentre i parlamentari sono frutto di una scelta attuata dalla vecchia segreteria, gli organi di partito rappresentano il nuovo corso: vecchio contro nuovo, nella misura in cui il vecchio ha la capacità di sabotare il nuovo, addossandogli le colpe dei fallimenti causati anche da queste mosse correntiste e tattiche, senza finalità politiche.

Lasciatemi dire, è l'eredità del renzismo: di quel clima arrivistico, di potere che fa parte di una stagione passata che ha prodotto:

- una degenerazione etica e politica all'interno del partito, in cui il tatticismo renziano si è continuamente manifestato: dalla mancata elezione del compianto Marini alla carica dei 101 contro Prodi, dal “Enrico, stai sereno” al referendum del 2016, dai “popcorn” alla scissione tattica con conseguente caduta pretestuosa del governo Conte-bis. Lo stesso tatticismo è evidente nel susseguirsi dei fatti su esposti che hanno portato alle dimissioni;

- una grande erosione elettorale, passando da un 30% delle politiche del 2013 ad un 18% del 2018 che, in confronto, quella evidenziata dagli ultimi sondaggi è una sciocchezza;

- l'arresto brutale del processo di unione fra le culture del partito a vantaggio del governismo e della visione renziana di sinistra, lontana dalla società e vicina a determinati interessi di cui la questione saudita è il sintomo.

Avviandomi alla conclusione, ritengo che i principi con cui vada definita l'azione politica all'interno del partito debbano essere radicalmente cambiati, partendo dai principi di metodo con cui impostare il dibattito politico interno. Va abbattuta l'ipocrisia di determinate classi dirigenti. Va distinto chi ha intenzione di stimolare il dibattito interno creando connessioni e reti tra le culture di partito (anche con una dialettica serrata), e chi usa i più disparati pretesti per tentare solo di apparire diverso dai suoi compagni di partito al momento opportuno. 

Le tensioni vanno mostrate nelle sedi opportune, senza aver paura di mostrarci divisi, perché divisi, sulle questioni ultime e non solo, lo siamo. Dobbiamo avere il coraggio di ammetterlo. Le culture politiche fondanti non si sono unite. La mentalità del Partito si è fossilizzata sull'esperienza dell'Ulivo, rimanendo nei canoni elettorali, senza produrre il significato valoriale dietro l'appartenenza ai “democratici”, i principi che li definiscono rispetto alle altre forze che devono avere uno sguardo al futuro e, dunque, a sinistra.

Cattolici, socialisti, liberali, verdi hanno costruito un condominio senza creare aree comuni, solo appartamenti con finestre rivolte verso l'esterno attraverso cui i condomini si lamentano dei vicini con la signora che passa lì di fianco dopo esser stata a compare il pane. La signora, però, probabilmente non comprenderà; se lo farà, prenderà per buona la narrazione di chi strilla, magari chiamando i carabinieri per intervenire se ritiene, chissà. 

Credo che le dimissioni di Zingaretti, in conclusione, possano essere comprese solo inquadrando la faccenda come una resa dei conti interna tra il vecchio contro il nuovo, da parte di chi è stato abituato dalle precedenti stagioni politiche a vedere il condominio PD come il più bello della riviera orientale quando, in realtà, nella contemplazione, ci si è dimenticati di fare la manutenzione ordinaria, prendendosela con l'amministrazione di condominio appena arrivato, non volendo però pagare le spese condominiali.

Comprendo, dunque, la scelta dimissionaria del Segretario. Probabilmente, io non mi sarei dimesso, ma ognuno ha un suo livello di sopportazione. Non lo taccerei di irresponsabilità nella misura in cui ha semplicemente accontentato i molti che richiedevano un percorso congressuale dunque un cambio di passo: da Statuto, significa cambio di vertici. Questo Partito va rifondato nelle intenzioni. Adesso serve un congresso, il prima possibile: che sia però franco, senza sotterfugi. Dobbiamo capire chi siamo, dobbiamo definire i principi e i valori della nostra azione lasciandoci alle spalle e condannando i principi tattici dell'esperienza renziana e riflettendo sull'ultima esperienza di governo, con criterio e prendendo il meglio delle culture politiche della nostra storia. E' un'opportunità che non dobbiamo farci sfuggire, forse l'ultima.

Dobbiamo capire se ha senso continuare a tentare unioni politico-culturali o meno. Per come la vedo io, da buon socialista, credo ci sia ancora un minimo spiraglio di sintesi per trovare un campo comune in cui dare risposte ad un mondo del lavoro, ad esempio, che si sta sempre di più precarizzando a causa di unsistema economico che ci vuole flessibili all'inverosimile mentre il divario tra i più agiati e più poveri aumenta, in cui anche il sapere, l'arte, ogni parte della conoscenza diventa investimento, non valore, capitale, non ideale.

Dobbiamo allontanare la strumentalizzazione leghista dal popolo, smascherando le intenzioni di una destra becera che, a colpi di flat tax, vuole proteggere gli alti settori dell'alto censo narrando tutto come una difesa del ceto medio e dei bisognosi.

Dobbiamo, soprattutto qui, ridiscutere di sanità pubblica come diritto di tutti i cittadini italiani ad avere cure adeguate a prescindere dalla propria situazione economica, senza che i privati speculino sulla salute dei cittadini.

Se non è un punto zero, ciò che abbiamo davanti è un punto della strada importante. Guardiamoci davanti allo specchio senza avere paura di ciò che ci troveremo davanti. Prendiamo coscienza della nostracondizione e sapremo andare avanti!

1 commento:

  1. Sembra che ha scritto un libro....non ho letto tutto mi sono stufata ....

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