mercoledì 5 dicembre 2018

LA VOCE DELLA BASE

In prossimità del Congresso trovo giusto che chiunque tesserato e simpatizzante del Partito Democratico voglia far sentire la sua voce, lo possa fare nel modo più ampio e pubblico possibile. Ecco perché questo spazio è a disposizione per ospitare I vostri scritti.
Il Primo che volentieri  pubblichiamo è di Luca Mazza:
#lavocedellabasepd


  Io vi avviso che è lungo, ma dato che era da un po’ che non scrivevo di politica e che ultimamente ne sto discutendo spesso con alcune persone...
1. Lo scontro sulla Legge di Bilancio tra governo italiano ed Unione Europea non dovrebbe essere una sorpresa. La costruzione dell’identità su cui si basa la dicotomia “Noi” e “Loro” passa anche da questa fase. La narrazione che ci verrà offerta, qualora le cose dovessero andare male, è che “Noi” ci avevamo provato ma “Loro” (l’Unione Europea) ce l’hanno impedito. E poco importa che ad aver preso le più intransigenti siano stati gli alleati nazionalisti di Salvini. Andando oltre a questo elemento che dovrebbe essere evidente, il vero punto di interesse è l’azzardo che permea la manovra. A Roma, la convinzione è che a maggio ci sarà una Commissione Europea più prona ad accogliere la legge di bilancio espansiva di questo governo. Il problema è che ad oggi, per quanto in forte crescita, le forze nazionaliste ed anti-europeiste si stima possano contare su non più del 25% dei seggi. Questo dato è ben distante dai numeri necessari per poter influenzare la formazione della CE che, probabilmente, sarà eletta coi voti di PPE e PSE come avviene da anni. Un altro problema, accennato sopra, è il fatto che non sia per nulla scontato questo cambio di sentimento nei confronti del nostro governo. La peculiarità dei nazionalismi (banalmente) è proprio quella di mettere davanti a tutto gli interessi della propria nazione e rischiare di trovarsi a dover fronteggiare una nuova crisi a causa dell’Italia (riconosciuta un po’ ovunque come potenziale punto di inizio di una nuova crisi economica sistemica) va contro gli interessi dei nazionalisti.
2. Di Cara di Mineo si è sentito parlare troppo poco, eppure quanto sta accadendo lì dovrebbe essere alla base di una riflessione sull’operato dell’attuale Ministro degli Interni nel corso degli ultimi mesi. Nel silenzio più o meno generale, abbiamo assistito a: tagli ai fondi destinati all’accoglienza; una riduzione delle procedure per l’ottenimento della protezione umanitaria; una diminuzione degli strumenti e dei mezzi volti a garantire l’inclusione e l’integrazione dei migranti. Queste decisioni formano un disegno ben preciso con due finalità. La prima, più immediata, è quella di rafforzare uno scontro identitario tra gli italiani e gli stranieri. Le politiche identitarie, infatti, sono una delle colonne portanti della Lega sin dai suoi albori. Se prima il nemico da cacciare era il terrone, oggi si tratta dell’immigrato clandestino.
La seconda invece richiede più tempo per mostrare i propri effetti: le conseguenze di queste decisioni, infatti, sono le basi per far sì che le profezie che dipingono i migranti come una minaccia per la sicurezza e per la salute diventino realtà e sfruttarne i benefici elettorali.
Sarebbe bene tracciare una linea tra ciò che è accettabile e ciò che non lo è. La mia modestissima opinione è che speculare sulle vite dei disperati, aumentare l’odio di un gruppo di persone nei confronti di chi è diverso e lo speculare su potenziali tragedie sia una pratica inaccettabile ed inumana. È necessario trovare il modo di veicolare il rifiuto di questa politica in maniera netta ed inequivocabile.
3. A costo di sembrare pedante ed anacronistico, io continuo ad essere fermamente convinto che una minaccia di recrudescenze fasciste sia concreta. Il modo in cui questo governo ha occupato i centri di potere e ha cercato di accentrare le decisioni in capo a sé stesso non può essere ridotto ad una semplice pratica di spoil system, giacché il tentativo di subordinare il CONI all’esecutivo è una decisione che credo sia senza precedenti. Anche il cambio del presidente dell’agenzia aerospaziale italiana, fresco di rielezione, appare quanto meno controverso e non trova giustificazione su alcun piano se non su quello di piazzare una persona amica in un organo influente.
È inaccettabile, inoltre, che qualunque organo statale o para-statale che non ricada sotto la diretta giurisdizione dell’esecutivo qualora esprima una posizione avversa a quelle del governo venga sfidato a candidarsi o a tacere perché non eletto dal popolo.
Vorrei ricordare che la democrazia non si fonda esclusivamente sul principio del voto in quanto espressione della volontà popolare, ma anche sui principi di pluralità, rispetto e garanzia per le minoranze e le opposizioni. Qualora venisse a mancare anche solo uno di questi elementi, la strada verso la democrazia illiberale sarebbe in discesa. E temo che un piccolo passo alla volta, noi quella discesa la si stia imboccando.
4. Seppur con ritardo, penso valga la pena sottolineare un altro elemento che riguarda una parte della maggioranza del governo gialloverde. Quando fu modificato il decreto fiscale con l’inserimento del condono, Di Maio parlò di una manina. La cosa fece clamore (e fu oggetto di ilarità) ma evidenzia come all’interno di M5S ci siano sempre stati i prodromi della paranoia che colpisce il potente. La sfiducia dimostrata da questo movimento nei confronti delle istituzioni e dei poteri costituiti, infatti, ricorda da vicino la paranoia del potente che non può e non vuole fidarsi di nessuno. Quando le cose vanno male, il paranoico è pronto a giurare che qualcuno lo abbia sabotato e gli abbia impedito di raggiungere l’obiettivo che si era preposto. Se a questo si affianca la convinzione di essere speciali (in questo caso speciali perché supposti portavoce dell’intero popolo), la sensazione di paranoia cresce a dismisura portando a cercare nemici anche dove non esistono.
5. Per concludere, mi occuperò dell’altra metà del cielo politico. Constato con amarezza che la sinistra italiana sia talmente autoreferenziale e piegata su sé stessa da rendere la possibilità di un’implosione sempre più concreta.
Potere al Popolo si è scisso a poco meno di un anno della sua nascita a causa di divergenze tra la loro leadership e quella di Rifondazione.
Liberi e Uguali si è sciolto a causa di prospettive politiche divergenti: MPD guarda in casa PD, in attesa di capire se ci siano o meno le condizioni per poter tornare indietro, mentre Sinistra Italiana e il gruppo di Grasso guardano verso Potere al Popolo per rilanciare nuovamente la Cosa di Sinistra.
Se Atene piange, Sparta non ride. Il PD, dopo il quattro marzo, è entrato in uno stato catatonico che ha allungato a dismisura i tempi del congresso (che dovrebbe essere a marzo). Ad oggi, sappiamo per certo che i candidati siano sette. Questo, apparentemente, dovrebbe essere un segnale positivo ma, in realtà, è l’esatto opposto. Un numero di candidati così elevato è l’ennesima dimostrazione (se ce ne fosse stato bisogno) di quanto il PD sia diviso in correnti e della volontà di arrivare (per l’ennesima volta) ad una conta interna per stabilire chi abbia il maggior peso elettorale e quindi possa controllare il partito.
Nel frattempo, la partita fondamentale per le europee del 2019 si avvicina sempre più rapidamente e non è chiaro quale sia la linea del PD (ammesso e non concesso che ne abbia una).
Non ho mai fatto mistero del fatto che il PD sia un partito ormai morente e che la sua scomparsa sia ormai inevitabile (e proprio le Elezioni Europee potrebbero rappresentare il punto di non ritorno per un progetto mai decollato veramente). Quando succederà, sarà necessario ripensare la sinistra e cosa debba rappresentare. Dopo il crollo del Muro, ci si è convinti che la risposta ai problemi fossero posizioni convergenti verso il centro dello spettro politico e la fiducia totale nell'economia. Abbiamo visto ciò rispettivamente nella "Terza Via" proposta da Blair e nella presidenza di Clinton negli Stati Uniti (Famosissimo il motto "It's the economy, stupid!"). I risultati, purtroppo, li abbiamo davanti agli occhi oggi. È necessario uscire da questa impasse politica ed identitaria in cui siamo bloccati. È arrivato il momento di tornare ad offrire una visione politica, culturale ed ideale del mondo che non si limiti all'inseguimento dell'immediato tornaconto elettorale. Per fare ciò, potrebbe valer la pena cercare di stabilire con le altre sinistre europee un programma minimo comune su alcuni temi (lotta alla povertà, temi ambientali e politiche sociali) che diano una spinta sia a livello nazionale, sia a livello europeo in cui la dimensione sociale è ancora in secondo piano. Il processo non sarà né corto, né facile (stimo che soltanto in Italia ci vorrà un decennio prima di riuscire ad avere una nuova classe dirigente formata e all'altezza) ma perseverando e guardando agli esempi positivi vicini a noi (Spagna e Portogallo), riusciremo a raggiungere il nostro obiettivo. O, almeno, un uomo può sperare.

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